“Perché sì, si fa così…” è la classica risposta alla domanda “Ma a cosa serve una DI-Box?” Praticamente in ogni contesto ne potete trovare almeno una, che sia su un palco, nello studio di registrazione o negli studi casalinghi di home recording. Questa scatolina viene usata per una moltitudine di applicazioni e per una serie di motivi: scopriamo quali sono.
La ragione principale per cui sono state sviluppate le DI-Boxes è semplice: trasformare il segnale sbilanciato di uno strumento musicale in un segnale bilanciato. Per una spiegazione approfondita e tecnica sul funzionamento della DI Box, vi invito a leggere questo articolo.
In questo articolo, invece, ci soffermeremo sui vari modelli e le tipologie di DI-Boxes disponibili sul mercato, il loro uso nativo e le loro peculiarità.
Sul palco
Se siete su un palco, avete bisogno di una Direct Injection (“DI”) box, che aiuta a tenere costante il segnale degli strumenti musicali come la chitarra, il basso e la tastiera soprattutto in caso di grandi distanze percorse dai cavi. Infatti, con cablaggi di 20 metri o superiori, il segnale tende a deperire molto velocemente, inificiando una buona performance.
Le DI boxes vengono usate anche e soprattutto per i microfoni. Essendo spesso collegate a dei pre amplificatori di voce, le DI boxes si occupano anche di far arrivare il segnale con la giusta impedenza a destinazione: di fatto una Direct Box è anche un convertitore di impedenza. Infine, la scatolina magica vi aiuta anche a sopprimere i rumori di fondo e le interferenze. Come? Lo potete capire leggendo questo articolo.
Attivo o passivo?
Le DI Box attive hanno bisogno di alimentazione costante per far funzionare il loro amplificatore interno. Grazie all’alimentazione Phantom o 9V, ci sono meno rischi di avere cali di tensione o segnale. Le DI Box attive costano un pochino di più rispetto alle varianti passive, ma sono raccomandate per chi utilizza strumenti musicali con un ridotto segnale d’uscita ed un alta impedenza. Per rendervi conto della differenza, vi basterà provare a infilare il jack dello strumento direttamente nel mixer passando attraverso la DI, e poi provate senza: sentirete quanto debole, fragile e poco piacevole risulta il segnale non avvalendosi di una DI Box.
Un classico per utilizzi sul palco, “la BSS” è diventato uno standard internazionale. La BSS AR-133 ha uno chassis robusto e solido, ideale per gli utilizzi più imprevisti, dove le DI vanno posizionate dove c’è posto. Tra le varianti a prezzi leggermente inferiori troviamo la Millenium DI-33, LD Systems LDI02 o la Behringer DI100 Ultra-DI.
Le DI Box passive sono un alternativa economica e pratica a quelle attive. Disponendo di design e circuitazione più semplice, hanno prezzi più contenuti e sono molto usate gli per strumenti dall’elettronica attiva come tastiere, drum machines, workstations, sintetizzatori e consolle da DJ. Il primo nome che ci viene in mente è la Radial Pro DI , seguita dalla DI-P von Millenium, Palmer Pan 01 o la Behringer Ultra-DI DI400P.
Per il reparto stereofonico, impossibile non citare la DI Box ProD2 , offerta dal produttore canadese Radial Engineering, o la Audiowerkzeug DuDi. Per i budget più ristretti consigliamo la Palmer Pan 04.
Simmetricamente, il segnale può essere trasmesso anche in modo inverso. Cosa signifca questo? Che il segnale in uscita dalla DAW (ad esempio, la traccia DI del vostro strumento), settato con un corretto livello d’uscita e giusta impedenza, può essere fatto passare da pedali o amplificatori, permettendo di fatto di poter fare ReAmping!
Esistono DI Box nate per lo scopo, come la Palmer DACCAPO o la Radial Pro RMP, ma è possibile ottenere gli stessi risultati anche con prodotti come la Behringer Ultra-DI DI600P o la nota Palmer PAN 01.
Da che cosa è composta una DI Box?
Oltre all’ovvia circuiteria, non visibile ad occhio nudo, e ad un eventuale amplificatore interno, la DI Box si compone di altre componenti da conoscere e usare sapientemente.
Su tutte le DI Box è presente un pulsante o pomello “Pad”, che permette di regolare il segnale d’entrata, nel caso in cui quest’ultimo fosse troppo forte. É presente, spesso, anche un “Ground Lift“, che permette di separare la massa e il segnale ed eliminare così eventuali rumori di fondo dovuti a problemi di massa.
Per la maggior parte dei collegamenti e cablaggi è necessario avere due segnali ben distinti: quello “processato” dalla DI Box, e quello inalterato che va a finire in un amplificatore tradizionale. In questo caso, l’uscita giusta da usare è quella denominata “Thru” o “Link”. Su alcune DI Box sono presenti anche switch per silenziare una o entrambe le uscite in tempo reale, oltre a regolatori/selettori d’impedenza.
Prezzi: da economici a folli!
Se quindi state pensando che le DI Box si differenziano solo per le loro caratteristiche, aspetto esteriore e prezzo, sbagliate! Ci sono differenze sostanziali nella fedeltà e trasmissione del suono. Spesso incidono i trasformatori installati nelle versioni attive e passive.
Se le parti utilizzate ed installare sono di bassa qualità, la definizione dei bassi, medi ed alti. Utilizzando componentistica di alta qualità, invece, il suono viene riprodotto molto più fedelmente, e talvolta si arricchisce di un carattere particolare, piacevole all’ascolto. Di solito, per l’utilizzo in sede live, il suono cristallino non è la componente più richiesta, mentre in fase di registrazione in studio può essere un fattore determinante.
Le DI più costose vengono normalmente scelte per gli studi di registrazione, dove la fedeltà e trasparenza del suono è fondamentale. Tra le soluzioni che colorano leggermente il suono troviamo la mastodontica RNDI della Rupert Neve Designs o la DI-Box per antonomasia: la U5 della Avalon, che stupisce per la quantità di frequenze riprodotte, la nitidezza del suono oltre ad essere dotata di svariati controlli per variare il tono del segnale.
La domanda delle domande: ho quindi bisogno di una DI in studio?
Nella maggior parte delle situazioni, le schede audio in vendita sul mercato, così come i pre-amplificatori, sono dotati di un ingresso “Instrument” dotato di una “spintarella” in più, spesso chiamata “Hi-Z” o “DI” (a-ha!). Se disponete già di un pre-amplificatore di buon livello, l’acquisto di una DI è sicuramente opzionale e non necessario. A questo punto, potete valutare l’acquisto di un pre-amplificatore o interfaccia audio di alto livello per prendere due piccioni con una fava.
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