Mixing e Mastering: differenze e quando servono

Differenza tra mixing e mastering spiegata semplice. Guida 2025 con esempi, LUFS/True Peak per Spotify/Apple/YouTube e consigli pratici per streaming, album e vinile.

mixing vs mastering: la differenza?

Qual è la differenza tra mixing e mastering?

Il mixing bilancia e combina le singole tracce e registrazioni (volumi, pan, EQ, compressione, FX) per creare un mixdown coerente

Il mastering rifinisce il file stereo finale ottimizzando timbro, dinamica e loudness (LUFS/True Peak) e adattando il master ai formati di distribuzione (streaming, CD, vinile).

Se stai muovendo i primi passi è normale confondere mixing e mastering: condividono alcuni concetti, ma hanno obiettivi diversi.

MixingMastering
Punto di PartenzaTracce individualiMixdown
ObiettivoEquilibrio e creativitàCoerenza, traduzione, loudness
Strumenti tipiciEQ/comp per traccia, FX, automazioniEQ “broad”, comp leggera, limiter/clipper, M/S
ControlliFase, pan, spazio, dinamica per singolo elementoBilanciamento tonale globale, True Peak, correlazione di fase
OutputMixdown 24/32-bit con headroomMaster per piattaforme/supporti

Nell’era dello streaming i servizi normalizzano le tracce: molti artisti ed ingegneri oggi puntano a ottenere loudness alta già in fase di mixing, dando meno importanza al mastering. Questo è comprensibile: le piattaforme normalizzano il volume (LUFS), riportando ogni brano a un livello standard, quindi i master “spinti” vengono comunque attenuati. Meglio puntare a un mixdown pulito e dinamico e usare il mastering per ciò che fa davvero la differenza: bilanciamento tonale, controllo del True Peak/codec-safe, coerenza tra brani di un album e riproduzione chiara su più sistemi d’ascolto.

Cos’è il Mixing

Il mixing (o missaggio) è la fase della produzione audio in cui tutti gli elementi (voce, batteria, basso, chitarre, synth, FX, etc..) vengono messi in relazione per ottenere un unico quadro sonoro. 

Qui si decide il ruolo di ogni strumento: voce in primo piano, chitarra che accompagna, kick che abbraccia il basso senza coprirlo, riverberi che creano spazio senza distruggere il groove, assolo di synth che prende il suo spazio. 

Per molte band, il mixing engineer è di fatto un membro aggiuntivo del gruppo. Il suo contributo creativo plasma il carattere del brano tanto quanto le scelte di arrangiamento e gli strumenti usati. Non esiste una procedura rigida: il mix è una sequenza di micro-decisioni coerenti, guidate da un’intenzione estetica chiara.

Oggi si lavora soprattutto in the box (DAW) o in modo ibrido (hardware + plugin). Scegli una DAW e imparala bene: la rapidità nel decidere conta più di avere mille plugin.

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Cosa Fa un Mixing Engineer (in pratica)

  1. Prepara la sessione nella DAW:  rinomina le tracce, organizza le registrazioni per gruppi (Percussioni, Basso, Chitarre… ), crea bus e marker, imposta il gain staging (vengono mantenuti i picchi sotto lo 0 dBFS, con lo scopo di dare spazio a tutti gli strumenti).
  1. Static mix: solitamente, prima di aggiungere qualsiasi plug-in, sistema solo volumi e panning. Se qui suona equilibrato, tutto il resto è in discesa.
  1. Pulizia & editing: effettua tagli e crossfade per eliminare click, allinea timing (quantizzazione o micro-spostamenti), riduce il bleed (rientri di altri microfoni), quando serve, applica tuning e de-esser sulla voce. 
  1. EQ correttiva/creativa: rimuove risonanze e sovrapposizioni di strumenti su stesse frequenze; aggiunge carattere dove serve.
  1. Dinamica: aggiunge compressione (anche parallela), expander/gate, saturazione per coesione e presenza.
  1. Spazio e profondità: imposta riverberi e delay con tempi coerenti al BPM della traccia.
  1. Stereo & fase:  panning, equalizzazione M/S e width con criterio; controlla fase e compatibilità mono.
  1. Automazioni: utilizza le automazioni per modulare volume e fa interventi mirati su EQ/FX per far emergere ciò che conta al momento giusto.
  1. Bus processing: compressione/EQ su drum bus, music bus o mix bus per rifinire il mixdown.
  1. Check & Reference: verifica e confronta il proprio mixdown con altri brani commerciali di riferimento, controlla il canale mono e ascolta su speaker secondari (come casse bluetooth di utilizzo diffuso) e cuffie per assicurare un buon risultato su qualsiasi dispositivo di riproduzione.
  1. Export: file stereo 24/32-bit (44.1/48 kHz), headroom per il mastering (picchi a circa -3/-6 dBFS), senza limiter distruttivi sul master.

Ecco alcuni dei plugin più utili in fase di mixing:

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Mixing: professione tra arte e scienza (ma un po’ più arte)

Un mix può essere perfetto e chiaro, ma senza scelte personali rischia di suonare sterile. Il mixing vive su un confine: sensibilità artistica da un lato, rigore tecnico dall’altro. Qui nascono il timbro della voce, l’aggressività della chitarra, le saturazioni che incollano gli strumenti, i delay psichedelici che aggiungono spazio. 

La buona notizia? Si può fare tutto in home studio. Conta l’orecchio, la qualità delle decisioni e un monitoring affidabile (monitor ben posizionati, buone cuffie, un minimo di trattamento acustico).

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Cos’è il Mastering?

Il mastering è l’ultima fase della produzione di un prodotto audio. Rifinisce il mixdown perché suoni coerente e traducibile ovunque (dallo smartphone al club) e perché sia in un formato adatto alla distribuzione (streaming, CD, vinile, cassetta…).

Nel caso di un album/EP, il mastering cura anche la coerenza tra i vari brani (timbro e volume) per evitare che alcune tracce risultino più forti o più scure di altre. 

In generale mixing e mastering restano fasi distinte: il mix lascia headroom e una forma d’onda “che respira”, così il mastering può alzare il livello senza generare artefatti

Uno degli obiettivi è quello portare il brano a una loudness competitiva senza distruggere timbro e dinamica, rifinendo al bisogno il bilanciamento tonale. In passato la cosiddetta loudness war ha spinto per anni verso master esageratamente forti. Oggi le piattaforme di streaming normalizzano il volume: non ha molto senso spingere oltre quel limite.

Il mastering non è “far suonare il brano più forte” e basta, né “aggiustare un mix sbagliato”: è una finitura tecnica che preserva l’intenzione artistica.

Cosa Fa un Mastering Engineer (in pratica)

  1. Ascolto critico e reference: In ambiente calibrato, confronta il brano con brani di riferimento per definire obiettivi di timbro, dinamica e loudness.
  2. Controllo del mix in ingresso: Verifica headroom e segnala eventuali problemi da risolvere in mix.
  3. Bilanciamento timbrico (EQ a banda larga): interventi di EQ ( anche Mid/Side) per rifinire il colore complessivo. Si lavora su bande estese di frequenze e solitamente si evitano EQ chirurgici (quello spetta al mix).
  4. Dinamica: Compressioni leggere per coesione e stabilità, eventuale multibanda dove serve, transient shaping per controllare i transienti.
  5. Attenzione alla fase:  La mono-compatibilità è importante per far suonare bene il brano su qualsiasi dispositivo.
  6. Immagine stereo: Regola width e relazione Mid/Side.
  7. Loudness & True Peak: limiter/clipper per un livello finale “codec-safe”. I numeri aiutano, ma decide sempre l’orecchio.
  1. Consegna: ascolti su più sistemi, misurazioni finali (LUFS, True Peak, spettro, correlazione), export nei formati richiesti e dithering se necessario.
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Mastering: professione tra arte e scienza (ma un po’ più scienza)

Nel mastering c’è creatività (mezzo dB in meno o tempi di release diversi cambiano il risultato), ma al centro c’è tecnica e misurazione: ambiente calibrato, conversioni di qualità, metering oggettivo (LUFS, True Peak, correlazione di fase, spettro, crest factor).

Il mastering engineer è un orecchio terzo e neutrale che riporta focus sul progetto complessivo e cura flusso emotivo di album, coerenza timbrica e continuità di volume.


Si decide con l’orecchio, si valida con i numeri. L’arte indica la direzione; misure, monitoring e metodo confermano di esserci arrivati.

Piattaforme di Streaming 2025: numeri pratici (LUFS, True Peak)

  • Spotify: punta indicativamente a -14 LUFS integrati; mantieni True Peak ≤ -1 dBTP (e ≤ -2 dBTP se il master è più loud) per evitare distorsione in transcodifica. A questo link puoi trovare le linee guida ufficiali.
  • Apple Music: adotta workflow Apple Digital Masters, tieni True Peak ≤ -1 dBTP come regola generale.
  • YouTube: spesso si usa -14 LUFS come riferimento di settore, ma Youtube non dichiara valori ufficiali di normalizzazione per lo streaming.
  • Regole d’oro: inseguire la loudness war in questo contesto ha poco senso. Esporta mixdown con -3/-6 dBFS di headroom; in fase di mastering decidi con l’orecchio, valida con i numeri.

Vinile: perché serve un master dedicato

La logica “spingo in mix e la piattaforma di streaming normalizza” vale solo per lo streaming.

Se devi stampare su vinile, affidarti a un mastering engineer è fondamentale: il taglio del disco impone vincoli fisici specifici su loudness, picchi e contenuto stereo, soprattutto in bassa frequenza.

Serve controllare l’energia sotto certe soglie, evitare eccessi di stereo nei bassi, gestire sibilanti e alte aggressive, e bilanciare durata/livello di ciascun lato. In altre parole, è necessario un master dedicato.

Il mastering serve davvero? 

  • Hai un singolo per lo streaming? Sì: mastering leggero per bilanciamento tonale, controllo True Peak e controllo su più sistemi d’ascolto.
  • Stai pubblicando un EP/Album?Sì: obbligatorio per coerenza tra i brani e flow emotivo.
  • Pubblicherai su vinile?Sì: master dedicato.

Il mix presenta problemi evidenti? Sì: torna al mix e risolvi i problemi: il mastering rifinisce, non ripara un mix sbagliato.


Mixing e Mastering: differenze e quando servono

🎧 Ora che conosci la differenza tra mixing e mastering, metti in pratica ciò che hai imparato!
👉 Inizia sperimentando con piccoli progetti e affina il tuo orecchio: ogni passo ti porterà più vicino a un suono professionale.


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