Il fenomeno K-Pop

Il fenomeno K-Pop

Il K-Pop (Korean Pop) è in ascesa. Dopo aver conquistato i social media (soprattutto TikTok) ed essersi imposto nella scena musicale americana, questo genere si appresta a diventare uno dei pilastri della musica mainstream. Cerchiamo di capirne meglio la storia!


Quando e come?

Il K-Pop è un argomento di cui si discute molto da anni, ormai. Ma da dove è nato? Per capirlo dobbiamo tornare indietro con gli anni fino al 1992 quando, durante un contest musicale televisivo Sudcoreano, una boy band formata da 3 ragazzi chiamata Seo Taeji and Boys si presentò in gara. Si esibirono in qualcosa di unico: testo in Coreano, musica Euro pop, sonorità Hip Hop e Rap Afroamericano e un balletto sincronizzato. Inutile dirlo: il pubblicò andò in visibilio. La giuria, nonostante ciò, assegnò dei voti bassi al terzetto, di fatto squalificandoli dalla gara.

Ma il seme della rivoluzione ormai aveva attecchito, e la mega-hit del terzetto, “I Know”, iniziò a scalare le classifiche fino a conquistarne la vetta, ove ci rimase per 17 settimane. Il resto è storia, una storia che arriva fino ad oggi, momento storico in cui il K-Pop è di fatto un modello di business che porta miliardi di dollari all’economia della Corea del Sud. Per quanto sia incredibile credervi, vi basti sapere che la famosissima band BTS ha fatto guadagnare alle casse dello stato 4.65 miliardi di dollari nel 2019, lo 0,3% del PIL del paese intero.

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PSY conquista il mondo

Il K-Pop iniziò ad espandersi nella Corea del Sud, rimanendo però pressoché sconosciuto in occidente per decadi. America ed Europa rimasero immuni al suo fascino fino al 2012, l’anno della rivelazione: ci riferiamo, ovviamente, all’esplosione mediatica causata da un famoso video su YouTube in cui un cantante canta facendo un famoso balletto da cavallerizzo… stiamo parlando di PSY e della sua GANGNAM STYLE, una delle hit più redditizie della storia della musica contemporanea, capace di infrangere ogni record su YouTube, dove arriverà a sfondare il muro del miliardo di views. Ad oggi, è il 7° video con più views al mondo. Il successo di PSY dimostrò al mondo che non solo il mercato musicale asiatico era capace di imporre il proprio dominio con facilità, ma anche e soprattutto che alle persone importava poco della lingua in cui viene cantata una canzone.

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L’appeal del K-Pop si basava su fattori semplici ma al tempo stesso difficili da replicare: non è un mistero che nel pop si è sempre usato il format del balletto sincronizzato (molte star statunitensi degli anni ’90 hanno video di questo stampo), ciò non toglie che l’estrema dedizione allo “spettacolo”, l’aspetto visuale, la perfezione dei movimenti e il blend tra serietà e autoironia estrema sono aspetti a cui la cultura occidentale non è propriamente abituata: l’impatto culturale di uno stile di vita che unisce il demenziale e il raggiungimento della perfezione in ogni campo si fece strada nella musica mainstream.

C’è sempre da tenere a mente che GANGNAM STYLE non è stato un puro colpo di fortuna, diventato virale grazie al caso: è una canzone pop estremamente ben scritta, prodotta e perfezionate da menti brillanti e realizzata con un unico scopo: far sì che la canzone rimanga subito impressa in testa, l’ennesimo prodotto di successo della The Hit Factory (e no, non ci riferiamo all’omonimo studio discografico) 😉

 

I BTS (방탄소년단) e il dominio odierno del K-Pop

PSY fu l’apri-porta per ciò che sarebbe seguito: il grande e inatteso ritorno delle boy band (e girl band, ovviamente). Ad oggi ci sono decine e decine di artisti K-Pop presenti nelle classifiche statunitensi ed europee, benché quasi nessuno si sia ancora avvicinato agli incredibili risultati dei BTS (BangTan Sonyeondan), un gruppo musicale composto da sette cantanti che sta letteralmente spopolando.

Per far capire ciò di cui parliamo, vi basti pensare che i BTS sono riusciti a:

  • fare il tutto esaurito a Wembley (solo 12 artisti ci sono riusciti, nella storia della musica)
  • far crashare i server del sito Ticketmaster, riuscendo comunque a vendere 3 milioni di biglietti in pochi minuti
  • ammassare 100 milioni di views su un video solo in 48 ore
  • avere 4 album al 1° posto in classifica, riuscendovi in maniera più rapida di quanto fecero all’epoca i Beatles
  • e molto, molto altro
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La chiave del successo? Musica auto-prodotta di ottima qualità, performances live eseguite alla perfezione e un interazione coi fans quasi maniacale. Il branding dei BTS va ben oltre: vi basti pensare che il fanbase, che conta milioni di fans sparsi in tutto il globo e di qualsiasi fascia demografica si fa chiamare ARMY (Adorable Representative MC for Youth).

Detto ciò, l’industria del K-Pop ha molti artisti da ringraziare: EXO, Blackpink, Tomorrow x Together e PSY hanno contribuito, prima e durante i BTS, alla sua crescita esponenziale. Ciò che una volta era un genere strettamente geo-localizzato e, se si può così dire, di nicchia (in termini globali) è finito col diventare uno dei generi più influenti nelle classifiche di tutto il globo.

 

La vita di una star del K-Pop

Le star del K-Pop hanno un background ben diverso da quello delle star occidentali: c’è una vera e propria fase di reclutamento durante la quale i bambini (parliamo di un’età compresa tra i 10 e 14, talvolta anche più giovani) si presentano ai casting delle agenzie K-Pop più quotate o, talvolta, vengono notati da agenti delle stesse (il più delle volte per via dell’aspetto, in quanto nel K-Pop si cercano ‘bei visi’). Se un bambino passa la fase di casting, gli viene fatto firmare un contratto (con i genitori come firmatari effettivi, ovviamente). Fino a qualche anno fa i contratti K-Pop duravano 13 anni: oggi il limite massimo è stato legalmente abbassato a 7 anni, in virtù di svariate proteste atte da artisti K-Pop i quali asserivano che la lunghezza del contratto e i suoi termini erano assimilabili ad una condizione di schiavitù.

Una volta firmato il contratto inizia il vero e proprio regime d’allenamento, un percorso che durerà anni e che avrà come scopo finale il lancio discografico. Le future star dormono spesso in dormitori delle agenzie, altri a casa. La sveglia è impostata alle 5 di mattina: è a quest’ora, infatti, che i ragazzini iniziano le prime sessioni d’allenamento di danza (o le lezioni di canto). Poi c’è la scuola, quella normale, che dura fino alle 3-4 di pomeriggio. Poi si torna in agenzia, dove ci si allena fino alle 11 di sera o, talvolta, mezzanotte. Poi di nuovo a casa (o in dormitorio) per 5 ore di sonno e l’indomani il ciclo si ripete.

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Già detto così sembra un incubo: è ancora più incredibile sapere che tutto ciò viene fatto in virtù di una mera speranza di debutto, possibilità che non sempre si concretizza! Una volta arrivata l’età “giusta” per il lancio,  si rilascia il primo singolo. Da questo momento in poi il successo del brano, la popolarità dello stesso e altri fattori (tra cui la risposta del pubblico e l’interesse medio) verranno monitorati dal management per capire se l’investimento è stato redditizio. Nel mentre l’orologio continua a ticchettare, uno scandire del tempo che, inevitabilmente, decreterà il momento in cui il cantante sarà ormai irrilevante, passato di moda o semplicemente ‘troppo vecchio‘ per il pubblico di riferimento. In fila indiana, dietro di lui, tanti altri ragazzi giovani e ambiziosi che non vedono l’ora di sgomitare per prenderne il posto e detronizzarlo.

È facile comprendere come tutto ciò abbia un impatto fisico ed emotivo enorme sui ragazzi: lo stress può essere fatale. I problemi legati al malessere mentale sono ampiamente discussi e ben riconosciuti all’interno di questo tipo di sistema “sfornatalenti“: non sono pochi, infatti, i cantanti che si sono suicidati a causa della depressione e dei problemi a gestire la fama (e la sua conseguente caduta in declino) che questo tipo di scelta di vita comportano.

My Final thoughts

Il K-Pop ha conquistato il mondo grazie ad un’estrema attenzione al dettaglio, solidi investimenti e marketing brillante ed efficace. Detta così sembra che la musica c’entri gran poco nell’equazione, cosa non propriamente vera: al di la del sistema “industriale” dal quale provengono, gli artisti K-Pop vanno comunque rispettati in quanto tali. Inoltre, ci sono migliaia di artisti e band di qualità da scoprire nell’industria discografica Coreana.

Scoprire musica nuova e, a primo impatto, così diversa da ciò a cui si è abituati non è mai vano: l’arricchimento del proprio bagaglio culturale è sempre cosa buona e giusta, tipica di chi ha una mentalità aperta e una buona attitudine verso la musica, senza barriere. Detto ciò, il fenomeno K-Pop rimane, a mio parere, tanto affascinante quanto spaventoso: la patina dorata e i video colorati che accompagnano il genere spesso sanno di plastica e, soprattutto, stridono enormemente con ciò che si nasconde dietro la barricata verniciata in tinte pastello: la fragile condizione di questi bambini, (perché altro non sono) che diventano “schiavi” di contratti ingiusti e svantaggiosi e che si prestano ad una vita di sacrifici e allenamenti al limite del malsano gettano un’ombra consistente sul tutto e mi lasciano con molte domande in sospese.


Cosa pensi del K-Pop? Rientra tra i generi che ascolti? Facci sapere con un commento

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La passione di Simon per la musica nasce molto tempo fa, fino a portarlo al diventare arrangiatore, chitarrista e autore di musica auto-prodotta, pubblicata con la sua band, gli Onyria.

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